Frammenti olivettiani

Il primato dei valori spirituali

“La nostra società crede perciò nei valori spirituali, nei valori della scienza, crede nei valori dell’arte, crede nei valori della cultura, crede, infine, che gli ideali di giustizia non possano essere estraniati dalle contese ancora ineliminate tra capitale e lavoro. Crede soprattutto nell’uomo, nella sua fiamma divina, nella sua possibilità di elevazione e di riscatto”.
A. Olivetti, Discorso ai lavoratori di Pozzuoli, 23 aprile 1955

“La civiltà occidentale si trova oggi nel mezzo di un lungo e profondo travaglio, alla sua scelta definitiva. Giacché le straordinarie forze materiali che la scienza e la tecnica moderna hanno posto a disposizione dell’uomo possono essere consegnate ai nostri figli, per la loro liberazione, soltanto in un ordine sostanzialmente nuovo, sottomesso ad autentiche forze spirituali le quali rimangono eterne nel tempo ed immutabili nello spazio da Platone a Gesù: l’amore, la verità, la giustizia, la bellezza […]. Se le forze materiali si sottrarranno agli impulsi spirituali, se l’economia, la tecnica, la macchina prevarranno sull’uomo nella loro inesauribile logica meccanica, l’economia, la tecnica, la macchina non serviranno che a congegnare ordigni di distruzione e di disordine”.
A. Olivetti, Città dell’uomo, Comunità, 1960

“Il mondo moderno deve accettare il primato dei valori spirituali se vuole che le gigantesche forze materiali alle quali esso sta rapidamente dando vita, non solo non lo travolgano, ma siano rese al servizio dell’uomo, del suo progresso, del suo operoso benessere.
Nessuno si illuda che i pericoli, i tragici pericoli che incombono sul mondo moderno, la guerra, il fanatismo ideologico, il dominio dell’uomo sull’uomo, possano essere spazzati via senza sacrificio, senza cambiamenti nell’ordine sociale, senza dar cioè vita ad un ordine più ragionevole secondo natura e secondo coscienza.
Il mondo moderno rassomiglia stranamente al tempo in cui ebbero vita nelle Chiese primitive d’Oriente e di Roma gli albori del Cristianesimo. I primi cristiani con la loro opera, la loro giustizia, dileguarono a poco a poco l’etica materialistica del loro tempo, e animarono i popoli e i re di uno spirito nuovo.
Oggi i testimoni della verità devono ancora servirsi delle forze soprannaturali per vincere il disordine del mondo moderno solo decorativamente cristiano, e condurlo pienamente, con slancio nuovo, verso forme nuove.
Per dar vita a questo nuovo mondo i ricchi e i potenti dovranno rinunciare alla corsa inconsiderata e indiscriminata verso una ricchezza sempre maggiore, alla vanità del potere e della effimera sua gloria”.
A. Olivetti, Discorso alle “Spille d’oro” di Ivrea, 19 dicembre 1954

“Può l’industria darsi dei fini?”

“Ed Iddio mi provò in segreto un giorno proponendomi la parabola del giovane ricco al quale Gesù propose di vendere tutto ciò che possedeva per darlo ai poveri. Il modo in cui questo avvenne fu molto strano e un giorno sarai in grado di capire che il mio spirito, liberato dalle corruzioni terrene, fu pronto ad obbedire a questo comandamento. Questo sacrificio non fu fatto e non sarà fatto perché devo vivere come uomo e non come santo, altrimenti mancherei la mia missione che è di agire e creare”.
A. Olivetti, Lettera a Grazia Galletti, 16 gennaio 1948

“Bisogna dare consapevolezza di fini al lavoro, ma ciò implica aver risposto a una domanda che non esito a definire una delle domande fondamentali della mia vita, drammaticamente rinnovata nei momenti di incertezza e di dubbio, profondamente discriminante per la fede che presuppone e per gli impegni che implica. Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche nella vita di una fabbrica?”.
A. Olivetti, Il mondo che nasce, Edizioni di Comunità, 2013. (la frase “Può l’industria darsi dei fini? …” è ripresa dal Discorso ai lavoratori di Pozzuoli, del 23 aprile 1955)

“Tutta la mia vita e la mia opera testimoniano anche – io lo spero – la fedeltà a un ammonimento severo che mio Padre quando incominciai il mio lavoro ebbe a farmi: “ricordati – mi disse – che la disoccupazione è la malattia mortale della società moderna; perciò ti affido una consegna: tu devi lottare con ogni mezzo affinché gli operai di questa fabbrica non abbiano da subire il tragico peso dell’ozio forzato, della miseria avvilente che si accompagna alla perdita del lavoro.
E il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ed è ancora per molti tormento, tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro che non serva e non giovi a un nobile scopo. L’uomo primitivo era nudo sulla terra, tra i sassi, le foreste e gli acquitrini, senza utensili, senza macchine. Il lavoro solo ha trasformato il mondo e siamo alla vigilia di una trasformazione definitiva.
[…]
Nello sconsolato mondo moderno, insidiato dal disordinato contrasto di massicci e spesso accecati interessi, corrotto dalla disumana volontà e vanità del potere, dal dominio dell’uomo sull’uomo minacciato di perdere il senso e la luce dei valori dello spirito, il posto dei lavoratori è uno, segnato in modo inequivocabile.
Noi crediamo che, sul piano sociale e politico, spetti a voi un compito insostituibile, e di fondamentale importanza. Le classi lavoratrici, più che ogni altro ceto sociale, sono i rappresentanti autentici di un insopprimibile valore, la giustizia, e incarnano questo sentimento con slancio talora drammatico e sempre generoso; d’altro lato gli uomini di cultura, gli esperti di ogni attività scientifica e tecnica, esprimono attraverso la loro tenace ricerca, valori ugualmente universali, nell’ordine della verità e della scienza.
Siete voi lavoratori delle fabbriche e dei campi ed ingegneri ed architetti che, dando vita al mondo moderno, al mondo del lavoro dell’uomo e della sua città plasmate nella viva realtà gli ideali che ognuno porta nel cuore: armonia, ordine, bellezza, pace.
A. Olivetti, Discorso del 24 dicembre 1955 alle maestranze della Società